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O'press

Il Giornale del Pubblico

Dove vengono raccontati gli interventi del pubblico nei nostri spettacoli

Filippo porta a scuola un orsacchiotto che ha vestito di rosa e i compagni lo prendono in giro.
Come fa a giocare con il giocattolo che preferisce, che purtroppo non è ben visto (anche se non si capisce bene perché), senza farsi prendere in giro dai compagni o disapprovare dai maestri o dai genitori? Cosa potrebbe fare? Smettere di giocarci?

Nelle 18 classi delle scuole elementari, dove è stato rappresentato questo spettacolo, i bambini e le bambine ci hanno mostrato delle strategie per difendere la loro libertà di scelta ed evitare la presa in giro e l’esclusione. In genere la prima strategia proposta è stata quella di nascondersi e non far vedere il gioco a chi potrebbe disapprovarlo.

Dopo qualche prova si è scoperto che era possibile coinvolgere nel gioco ‘diverso’ anche gli altri bambini, senza doversi nascondere. Magari si coinvolgeva prima un potenziale alleato e poi si cercava di raggiungere il gruppo e far accettare la diversità.

Essere esclusi dai propri pari era considerato da tutte/i come una cosa terribile, ma al tempo stesso era una paura che valeva la pena affrontare.
Nessuno dei pari sapeva perché per es. un maschio non potesse giocare con un giocattolo coperto di rosa, cosiddetto “da femmina”, o perchè una femmina non potesse giocare con un giocattolo d’azione, “da maschio”.

Tutti e tutte erano d’accordo che, se accade, in effetti non succede nulla di grave, nessuno smette di andare a scuola, nè si ammala… si rischia solo qualche presa in giro. Ma perché ci si prende in giro?

Per i bambini non era molto chiaro il motivo. C’è chi sosteneva che fosse per gelosia, per paura della diversità o della novità. Alcuni pensavano che fosse principalmente un problema per gli adulti, perché per loro in fondo la cosa più problematica era la frase del padre: “vuoi che si pensi che tuo figlio è diverso” rivolgendosi alla madre. E i bambini spesso alla fine si adeguavano in famiglia perché altrimenti essere disapprovati dagli adulti di cui ci si fida di più, questo risultava terribile!

Poi i ragazzi hanno provato a far capire ai genitori che i desideri dei bambini andavano rispettati. Magari dovevano aiutare i bambini a prepararsi alle prese in giro, dovevano aiutarli a formulare i loro desideri, a far rispettare la loro creatività, ma senza sostituirsi a loro, senza decidere per loro.

Sostituendo la maestra i ragazzi e le ragazze, dopo qualche tentativo un po’ autoritario, hanno proposto di mischiare tutti i giocattoli, in modo da superare le categorie opprimenti. Adulti hanno anche proposto di fare un attività di analisi di tutti i giocatoli con i bimbi. Quando nella scena veniva abolita la distinzione fra giochi per maschi e giochi per femmine, molte ragazze erano contente di poter giocare a pallone mentre solo pochi ragazzi riconoscevano che avrebbero avuto piacere a giocare con le bambole.

Altri interventi suggerivano l’importanza di creare compromessi fra ragazzi e ragazze per evitare che si separino troppo spesso. Si è insistito sul farli giocare insieme e sul definire insieme le regole dei giochi: le regole si stabiliscono prima collettivamente, ci può essere una sorta di arbitro o facilitatore ma non deve sempre essere lo stesso nè sempre maschio o femmina.

Gli amici prendono in giro Filippo perché non riesce a far partire la sua storia con Camilla.
Una spett-attrice mostra come i genitori debbano insegnare ai figli fin da piccoli a riconoscere i propri punti deboli, ad accettarli e quindi ad accettare e non prendere in giro quelli degli altri
Un’altra spett-attrice propone di rispondere alle prese in giro con un confronto aperto e sereno: “se sei convinto della tua idea e della tua strada, se per te ha un valore, è importante portarla avanti, è il tuo percorso”.

Le amiche spaventano Carlotta prima del ‘primo incontro’ e la vestono di cose assurde che “piacciono agli uomini”.
Una donna suggerisce che è meglio andar in tuta piuttosto che farsi condizionare
Un’altra suggerisce di ascoltare i consigli delle amiche senza farsi troppo influenzare, mantenendo la propria personalità e la propria idea, anche se molto diversa dalla strada consigliata.

Dopo l’incontro tra i due e il rapporto sessuale:
chiedere “ti è piaciuto?” dopo il rapporto sessuale rivela una mancanza di ascolto prima del orgasmo maschile, quindi si propone di chiedere piuttosto prima, durante il rapporto se piace e/o come si sta
più che chiedere, dopo il sesso se è piaciuto, partire da se stesso e raccontare se è piaciuto, come si è sentito.
le donne suggeriscono di proporre di ricominciare invece di chiedere se è piaciuto. Ma da lì ne scaturisce un dibattito sulla difficoltà per gli uomini di ripartire subito. Come superare questa differenza?
Il tema della défaillance ha stimolato diversi interventi. C’è chi suggerisce che è la donna che si deve impegnare per fare ripartire l”azione’. C’è chi invece considera che questa è una strada che peggiora la situazione. E’ l’uomo che deve anche scoprire altre modalità. Non c’è solo uno strumento per condividere piacere. La défaillance può anche essere positiva se permette di sviluppare un nuovo ascolto fisico.

Quando una donna esclude l’uomo dalla cura della casa, perché non sembra essere pratico:
un uomo suggerisce di lasciarla fare, tanto poi ne pagherà le conseguenze. Ma se ti toglie la cura dei figli? “Allora è diverso”.
uno spetta-attore propone di lasciarla fare una cosa sulla quale lei potrebbe non essere pratica: “se mi lasci farmi la mano in cucina, io ti lascerò guidare la mia macchina”. Se da un lato l’uomo ha interesse a conquistare la sua parte nel lavoro di cura, dall’altro deve saper riconoscere alla donna degli interessi o dei ruoli ‘nuovi’.
Un altro suggerimento è partire dal limite e dalla resistenza posta dalla donna “hai ragione, non sono molto pratico, mi insegni? Lo facciamo insieme? Tu mi fai vedere come si fa e io lo faccio accanto a te, ti seguo”

un breve video di questo spettacolo è online. Non mostra una scena dove il pubblico interviene, ma da un idea.

Come possiamo rispondere alle domande urgenti che ragazzi e ragazze hanno sulla società, l’amore e la sessualità? Cosa possono o non possono dire gli educatori? E con quali strumenti?

Di fronte agli insulti sessisti e omofobi tra ragazzi e ragazze:
chiedere ai ragazzi di insegnarci cosa dovremmo fare per parlare in modo adeguato di sesso a un adolescente (per es. “come devo parlarne a mia figlia che ha la tua età?”). Fare delle domande ai ragazzi, perché possano rielaborare quello che vivono e analizzare loro stessi gli insulti che usano (per es. “ma pure a casa vi esprimete così?”).
evitare di demonizzare youporn perché il problema è atavico e a prescindere da youporn
inserirsi nella discussione tra gli studenti come facilitatori o mediatori, per aiutarli a confrontarsi, ascoltarsi reciprocamente ed elaborare in altre forme e linguaggi ciò che hanno bisogno di esprimere (“cosa volevi dalle tue amiche?” “il vostro compagno sta esprimendo il bisogno di divertirsi con qualche battuta” “cos’è che vi offende, vi dà fastidio, o non vi è piaciuto?” “potresti chiederglielo in un altro modo?” “che richiesta gli vorresti fare?”
porsi con gli studenti in modo accogliente e non giudicante, lavorare sulle relazioni, allargando la discussione per andare oltre l‘oggetto specifico dello scherzo, cercare di accogliere anche ciò che è negativo e trasformarlo in positivo.

Di fronte al corpo docente, che disapprova il lavoro di educazione sessuale in classe:
cercare il confronto aperto con docenti, dirigente scolastico, psicologo (incluse le persone molto cattoliche) per far capir loro che il problema della sessualità nella terza media è scottante e che tutti gli educatori patiscono di non affrontare il problema. Evitare il conflitto aperto con i ‘super cattolici’, che si rivela sempre controproducente.
far esplodere il problema in tutta la sua gravità/intensità (nella riunione con il corpo docente si apre e si gonfia il preservativo, si provoca la preside etc.), è una soluzione che non ha convinto la maggioranza del pubblico perché troppo provocatorio e impulsivo e rischia di mettere a rischio la posizione lavorativa dell’educatore.
Contestualizzare e giustificare la proposta di educazione sessuale portando dati, statistiche e ricerche sul tema e mostrando quindi la necessità di affrontare il problema e dare tutte le necessarie informazioni agli studenti. Puntare quindi sulla responsabilità educativa delle istituzioni scolastiche e sul loro dovere di informare.
Anche di fronte ai più bigotti, mantenere la posizione con decisione (per es. di fronte all’obiezione del linguaggio volgare “dobbiamo partire dal linguaggio che usano i ragazzi per poi guidarli verso un altro linguaggio, più adeguato, esperto, specifico”)

Raccomandazioni e Proposte di legge:
introdurre nei programmi scolastici le ore di educazione sessuale che, come l’ora di religione, sono facoltative, per cui le famiglie e/o gli studenti possono scegliere se seguire o non seguire, alle stesse condizioni dell’ora alternativa
prevedere non solo l’educazione sessuale nei curricula scolastici, ma anche un percorso formativo per gli/le insegnanti (possibilmente utilizzando il TDO e/o altre metodologie esperienziali) sulla sessualità, in modo da renderli preparati a lavorare con i ragazzi non solo sui comportamenti sessuali ma anche sulle relazioni affettive, i desideri, i sentimenti ecc.
accompagnare il percorso formativo degli studenti a scuola, con il lavoro nelle famiglie (coinvolgendo anche loro nei programmi di educazione sessuale, perché non può essere solo a carico degli insegnanti) e nella società (con i consultori ecc.)
Puntare sulla prevenzione, perché costa molto meno che affrontare il problema delle gravidanze indesiderate
Raccogliere e valorizzare tutte le indagini che evidenziano la dimensione del problema per giustificare la necessità di una legge in materia
Partire dal presupposto che la scuola non deve lasciarsi influenzare da ogni ostacolo posto dai genitori, ma al tempo stesso non può fare a meno di coinvolgere le famiglie.

Occorre quindi far lavorare insieme docenti e famiglie.

Quando una relazione d’amore può diventare pericolosa? È “normale” che nei primi tempi la coppia si isoli, travolta dalla passione, accecata dall’infatuazione? Sul punto si accende sempre un animato dibattitto tra il pubblico, ma l’idea che mette tutti/tutte d’accordo è quella di evitare che la coppia si isoli fin dall’inizio, che l’amica si chiuda nella relazione con lui e si allontani da tutto il resto. C’è chi propone di coinvolgere solo lei in attività e momenti dedicati esclusivamente alle amiche e c’è chi invece prova a entrare in relazione con lui e coinvolgerlo nel gruppo.

Quali sono le proposte che hanno funzionato meglio per coinvolgere lui?
• Prendere un caffè o un dolce insieme; magari organizzare una serata tutti insieme, con un buon vino scelto proprio per l’occasione!
• Fargli sentire che fa piacere alle amiche che ci sia anche lui, che si trattenga un po’ con loro, che racconti qualcosa in più della loro storia.
• Chiedergli un consiglio, un parere maschile, magari proprio sugli uomini, su come prenderli quando inizia una nuova storia, su quale sia la ricetta migliore per far andar bene una relazione.
• Creare empatia e confidenza con lui

E se invece si volesse provare a passare un po’ di tempo solo con lei, per fare in modo che mantenga momenti di confidenza e intimità con le sue amiche, al di fuori della coppia?
Ecco alcune proposte del pubblico:
• Ricordarle che anche alle amiche serve la sua presenza, ad esempio per le confidenze, le attività che facevano insieme (senza di lei la coreografia di danza non funziona!)
• Chiederle se va tutto bene, non con tono inquisitorio, ma con empatia e complicità, in modo da mostrarle di essere veramente interessate a come sta e preoccupate se sembra un po’ nervosa, stressata…
• Evitare di escludere lui, ma farle (e fargli) capire, in modo delicato e simpatico, che hanno bisogno di spazi di intimità tra amiche per le confidenze personali.

Se non siamo stati abbastanza pronti per evitare che la situazione degenerasse, possiamo ancora fare qualcosa? Il pubblico ha provato diversi modi di intervenire per aiutare l’amica senza metterla in pericolo.
Ha deciso di andare subito a trovarla a casa e cercare di parlare con lei. Come?
• Aspettando con calma e rispettando i suoi tempi. Chiederle, se necessario più volte ma senza essere insistenti, di raccontare cosa sia successo, perchè è spaventata, perché sta male.
• Mostrarsi tranquille, pacate e farle sentire che le amiche sono lì a supportarla, che sono un punto d’appoggio e che non la lasciano sola.
• Creare un clima di confidenza in cui lei si senta al sicuro, non giudicata e a suo agio per poter raccontare e ammettere quello che è successo.
• Aiutarla a prendere consapevolezza, senza giudicare nè lei nè lui.
• Far confrontare la coppia alla presenza dell’amica/testimone, far raccontare le due versioni dei fatti, in modo che la vittima si faccia forza perchè non è più sola ma ha l’amica accanto e guardando bene negli occhi lui, in modo che si senta un po’ scoperto, non più sicuro di poter nascondere o negare.

Il pubblico della Città dell’Utopia e delle scuole elementari prende posizione e decide di provare varie alternative per coinvolgere la famiglia di Gaia in un modo di vivere sostenibile.

Per spegnere la TV, oramai centro del nucleo familiare, il pubblico suggerisce che bisogna avere pronte delle alternative seducenti.

Proporre un libro ad un TV dipendente convince poco la maggioranza degli spettatori. Questa sottolinea che il libro dovrà essere molto adeguato agli interessi del TV dipendente.

Un altro spettatore propone di coinvolgere i familiari nel cucinare, strategia parzialmente accettata.

I bambini propongono giochi di tavola per riunire la famiglia e allontanarla dalla TV.

Per quanto riguarda il consumismo della famiglia, il pubblico scopre che i discorsi “catastrofici” (stiamo distruggendo la terra…), sebbene realisti, funzionano poco.

Emerge allora la necessità di difendere le alternative in un modo molto positivo: più che parlare dello sfruttamento dei coltivatori di caffè, evocare i benefici che traggono questi dal commercio equo-solidale, più che insistere sui danni che fa la TV all’essere umano, celebrare il piacere del giocare e del creare insieme. Più che discorsi, il pubblico ritiene che bisogna portare soluzioni concrete: regalare il caffè equo, portare un gioco divertente, preparare una cenetta o andare a mangiare una pizza insieme.

ECO è uno spettacolo di teatro forum creato con i bambini di Valle Aurelia, che ha girato sia nelle scuole che per un master sulla desertificazione a Roma III.

Donne impaurite dai giornali decidono di concretizzare i decreti legge sulla sicurezza denunciando stranieri e chiunque beve sotto casa loro e organizzando delle ronde. Nel finale picchiano un provolone inglese che voleva conoscere una ragazza…

Il pubblico del Volturno prende posizione: non serve opporsi a persone impaurite, bisogna innanzitutto capirle. Rispondere a una informazione mediatica con altra info, anche alternativa non convince, né i personaggi né il pubblico.

Una spettatrice viene a raccontare alle donne impaurite che per lei il pericolo è sempre stato dentro casa con il suo zio, per niente straniero, che ci provava… racconti in prima persona o di gente conosciuta si rivelano un ottimo modo per contrastare l’informazione mediatica.

Una volta che la gente è impazzita non serve tanto opporsi. Quindi diversi spettatori si aggregano alla ronda, cambiandone sia il nome che il senso. La ronda viene infiltrata e presa in giro. Si capisce pero che le donne hanno paura oggi a Roma, perche le strade sono sempre più deserte.

Si decide dunque che occupare la strada, riscoprire lo stare in piazza, riappropriarsi del suolo pubblico, e uscire il più possibile, questo può sminuire molto il sentimento di insicurezza, piuttosto che rimanere a casa. Sentirsi e vedersi tante e tanti in strada aumenta la sensazione di sicurezza.

Un paio di Nike a prezzo surreale: mamme rovinate. Nella “scena di natale” (2009) intervengono gli spett-attori per provare a far ragionare i bambini: alcuni cercano di fargli capire che è esagerato chiedere tali regali, che è crudele per i genitori. Una nonna viene sulla scena a spiegare che le scarpe costano il prezzo della sua pensione. Ma il senso di colpa non funziona in questa situazione.

L. cerca di ricreare un legame tra madre e padre che ormai litigano sempre e quindi non riescono ad affrontare le difficoltà insieme. Primo passo positivo accettato dai partecipanti. E’ quando è disunita la famiglia che si rischia di risolvere i problemi artificialmente, con regali materiali costosi.

La nonna G. spiega alla nipote che se i suoi amici di scuola pretendono che lei abbia tali scarpe, non sono buoni amici. Al di là del bisogno materiale questa nonna insiste sul bisogno dell’altro, più fondamentale. Da questo punto la bambina, molto resistente, si mostrerà disposta a pensare alternative meno costose e cercare amici meno consumisti. La strategia più condivisa è quindi quella di cercare quali bisogni si nascondono dietro al consumismo. Capire questi bisogni e riconoscerli, invece di materializzarli o demonizzarli.

Cooperante usa progetti a fini personali e impone pozzi in Africa…

25 persone prendono posizione sulla vicenda. Far ragionare la cooperante si dimostra inefficace.

Qualcuno viene sulla scena per proporle di fare cose ancora più brutte e corrotte sperando che lei si renda conto, ma non funziona nemmeno secondo il pubblico. Qualcuno minaccia di fare ricorso alla stampa per rovinare la buona immagine della ONG.

Si decide che rendere pubblici i misfatti della cooperazione è una strategia molto efficace dal momento che la cooperazione si finanzia vendendo buone immagine.

Come evitare colpi di stato e divisione in un paese Africano

Al festival di teatro forum d’Itsandra nelle isole Comoro, viene presentata una scena sugli errori del passato e del presente del paese. I partecipanti insistono sul bisogno di non lamentarsi sempre sugli errori del passato. Bisogna capirli certo per vedere come non riprodurli oggi. Il forum quindi si fa sulla storia dell’indipendenza (1975): su come le quattro isole si sono divise e ne hanno persa una, rimasta francese (Mayotte) lasciando la porta aperta ai numerosi colpi di stato successi dopo. Si provano delle strategie per mantenere l’unità. Un partecipante fa un errore magnifico: impersonando una delle isole indipendente, viene a fare discorsi paternalisti a Mayotte per dirle di restare unita, di non discutere troppo gli ordini della isola grande (Ngazidja) etc.

Il pubblico si rende conto che questo tipo di atteggiamenti autoritari hanno fatto fuggire Mayotte e che forse nel presente c’è ancora questo modo di rivolgersi a Mayotte, malgrado i suoi 30 anni di insolente ‘sviluppo’ francese.

I partecipanti vengono ancora sulla scena con discorsi un po’ moralistici: “Mayotte, hai perso la tua identità, ti sei venduta alla Francia, torna con noi…”.

Diventa sempre più chiaro che l’indifferenza di Mayotte proviene del tono con cui le si parla e più le si dice ciò che deve fare, meno lei se ne frega e lascia crollare le 3 altre isole nella miseria.

Il pubblico prova altre modalità più ugualitarie per rivolgersi a Mayotte, scoprendo molti errori, discorsi, atteggiamenti che provocano ancora la divisione del paese. La pioggia non ha permesso di trovare LA soluzione ideale. Ottimo, cosi la gente è rimasta con tanta voglia di continuare la ricerca nella vita quotidiana.